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ESPERIENZE DI IMMERSIONE (e di viaggio)

UN GIORNO A MAURITIUS

Mi giro, sento la risata di Ken, il nostro Divemaster, che sventola felice il cappellino ed incita lo skipper mentre il catamarano cavalca le onde spumeggianti oltre la barriera corallina.

Siamo in prossimita’ dell’Ile Plate. La spiaggia bianchissima e’ contornata da palme e da un mare con colori incredibili. Buttiamo l’ancora in circa un metro d’acqua, sotto di noi coralli multicolori e pesci variopinti. I piu’ entusiasti afferrano pinne, maschera e boccaglio e si lanciano a fare snorkeling; i piu’ pigri si stendono al sole.
E’ quasi mezzogiorno e l’euforia per l’immersione che abbiamo fatto questa mattina e’ ancora nell’aria. Lorenzo, Marco e Aldo continuano a raccontarsi ancora increduli l‘emozione provata nella fossa degli squali, quando, all’improvviso, dopo essere stati proiettati nella fossa dalla risacca creata dall’onda oceanica, ci siamo trovati dinnanzi a 15 splendidi esemplari.
L’avventura ha avuto inizio questa mattina alle nove. Al piccolo pontile in legno era ormeggiato il grande catamarano bianco. Tony e Mim? stavano stivando a bordo le provviste per il pranzo e dalle ceste spuntavano verdi ciuffi di ananas, cocchi e un casco di banane.

Abbiamo assemblato le nostre attrezzature e abbiamo preso posto a bordo; l’entusiasmo era alle stelle e le aspettative erano enormi.
Avevamo gia’ fatto questa immersione lo scorso novembre, ma i SIGNORI DEL MARE non si erano fatti trovare.

Siamo partiti e la navigazione e’ proseguita tranquilla sino a Coin de Mire; qui Ken ha iniziato il briefing.
Ci ha informato che la corrente sarebbe stata molto forte ed ha raccomandato prudenza.
Non dovete perdere tempo – ci ha detto – e, non appena in acqua, dovete raggiungere l’imboccatura della fossa che si presenta con un canalone scavato tra rocce.
L’onda di risacca ci ha letteralmente ‘’sparato’’ all’interno; abbiamo volato sopra la testa di una grossa murena che ci ha guardato alquanto seccata.
Due di noi al primo tentativo non ce l’hanno fatta e sono stati risucchiati all’esterno dall’onda contraria. Al secondo tentativo tutto OK e, una volta entrati tutti nella fossa, davanti ai nostri occhi, oltre le piccole rocce che delimitavano il cratere, C'ERANO LORO!.
Ci guardavano curiosi, mentre intrecciavano pazzeschi girotondi per contrastare il riflusso della corrente.
Siamo rimasti al riparo dietro le rocce, letteralmente persi e dimentichi di qualsiasi altra cosa. L’emozione era piu’ che giustificata vista la composizione del branco: martello, grigi e mako’ giravano vorticosamente a meno di un metro da noi !
Dopo un po’ Claudio ci ha fatto cenno che era ora di uscire e, uno alla volta, concentrandoci sui tempi dell’onda che ci avrebbe avviluppati trascinandoci all’esterno, ci siamo diretti nuovamente verso l’entrata della fossa. Due pinnate ed eravamo fuori .. no, non proprio, la corrente mi aveva strappato una pinna.
L’ho presa al volo e mi sono attaccata alle rocce per evitare di essere risucchiata dentro la fossa. Poi Claudio mi ha vista ed e’ venuto in mio soccorso, trascinandomi via.
Appena messa la testa fuori dall’acqua tutti gesticolavano, parlavano, ridevano; non stavano piu’ nella pelle.
Un’immersione come questa e’ valsa, da sola, il viaggio a Mauritius.
Ora l’equipaggio ed il cuoco ci guardano contenti, non capiscono una parola d’italiano, ma in certi casi non serve. Ci porgono un bicchierone pieno di succo di ananas, mango e rhum. ‘’Aperitif’’ dicono, e abbozzano insieme ad Arabella qualche passo di ‘’seg?’’’, il tipico ballo Mauriziano.
Domani e’ un altro giorno, nuove avventure, nuove emozioni.
Faremo un’altra immersione nel pomeriggio e resteremo in mare sino a tramonto, per assaporare la quiete di quei momenti, quando il mare si spiana e la brezza si addolcisce; per vedere il cielo dei tropici diventare prima arancione, poi tingersi di rosso e infine sfumare nel viola. Poi, repentinamente, il nero della notte.



MALAPASCUA

Quando per caso abbiamo letto per la prima volta in Internet il nome di quest’isoletta 'Malapascua’ siamo rimasti perplessi e ci siamo chiesti dove diavolo fosse.
Poi, giorno dopo giorno (o meglio, notte dopo notte) navigando a destra e a sinistra sempre pi? increduli e meravigliati per quello che leggevamo e per le immagini che comparivano sullo schermo, abbiamo chiarito il mistero.
Malapascua ? il regno degli squali volpe (tresher sharks), la barriera corallina è intatta, il turismo di massa non e’ ancora arrivato e, forse, non arriver? mai.
Curioso nome Malapascua; significa 'Bad Christmas'. Furono gli spagnoli nel 1500 a battezzare cos? questa piccola isola. Le loro navi arrivarono all’alba di un giorno di Natale e approdarono mentre infuriava un terribile uragano. Da qui il nome.


Sono le 5.00, ? buio e il villaggio ? ancora addormentato.
In lontananza sentiamo i rumori tipici del diving, il tintinnio delle bombole che stanno trasportando sulla 'banka' ormeggiata un pò al largo e le voci dei divemasters che scherzano tra di loro.
C'? bassa marea e per salire a bordo dovremo utilizzare la lancetta di appoggio.
Il nostro bungalow 'first row' ha una splendida terrazza in legno a due passi dal mare. Flavia prepara il caffè, Claudio sonnecchia sul divanetto, Michele ed io sbucciamo gli ultimi due mango e le banane.
La piccola caffettiera elettrica sta facendo egregiamente il suo dovere. E’ sempre parte integrante del nostro bagaglio quando viaggiamo in Paesi Lontani. Michele ? elettrico. Questa storia di fare un’immersione all’alba con gli squali volpe lo ha sprofondato in uno stato di trance estatico e continua a ripete frasi un po’ sconnesse tipo 'mamma mia, ma ci pensate ?' oppure 'io che vado a vedere gli quali … ma quando mai ??!!'

Al diving sono pronti, ci traghettano a bordo dove Tata ha gi? montato le nostre attrezzature; ride, come sempre, e ci offre il caffè. Partiamo e durante la navigazione Tata fa il briefing e spiega le abitudini di questi squali, animali notturni che vivono in profondit?.
A circa 25 metri ci sono tre 'stazioni di pulizia'.
Gli squali arrivano all’alba, si fanno toelettare e poi con la stessa rapidit? con cui sono arrivati se ne vanno e tornano negli abissi.
Saltiamo in acqua e dopo un breve percorso arriviamo alla prima stazione. Aspettiamo per un po’...niente. Tata ci fa cenno di seguirlo e ci dirigiamo alla seconda stazione. Vediamo in distanza le bolle di altri sub. Sono immobili, forse ci siamo! Ci avviciniamo lentamente evitando il gruppetto di concorrenti ed eccoli...sono due, sono grossi e ci girano intorno. Restiamo appiattiti sul fondale corallino e arriva il terzo; e’ il piu’ grosso di tutti.
E’ maestoso, ci punta deciso come se volesse farsi ammirare poi, all’ultimo momento, con un colpo di coda ci mostra il ventre, fa ancora due giri e scompare.
Bellissimo! Seguiamo Tata che dirige verso l’ultima stazione e infine chiude l’immersione in prossimita’ dell’ancora.
Quando emergiamo il cielo e’ chiaro. Siamo felici, le risate e le battute con l’equipaggio si sprecano. Non avevamo mai visto gli squali volpe e, soprattutto, non immaginavamo che ci venissero cosi’ vicino.

Torniamo a terra, sono le 8.00, abbiamo giusto il tempo di passare dal bungalow, preparare la borsa per il full-day, fare colazione e tornare al diving.
Incomincia un’altra giornata di mare, di sole, di immersioni e di emozioni.



MALAYSIA

Kuala Terengganu

Siamo arrivati ieri sera.
L’hotel è sul mare e dal terrazzo della nostra camera al 10° piano dominiamo le casupole dei pescatori e la spiaggia, lunghissima e affollata di bambini che giocano con gli aquiloni. Dopo colazione decidiamo di prendere un taxi e di farci portare in centro cittð, nel quartiere cinese.
E’ animatissimo; alcune case di legno su entrambi i lati della strada hanno il tetto in lamiera e al piano terra si aprono una moltitudine di negozietti e magazzini che vendono di tutto, dagli alimentari ai pezzi di ricambio, dalle stoffe ai gioielli.
Arriviamo al porto dove sono ormeggiate numerose barche a bilanciere e alcuni barconi in legno che fungono da traghetto passeggeri per le due isolette di fronte.
Sul piazzale di fronte al porto c’è il mercato all’aperto, colorato e pittoresco. L’odore del pesce esiccato si mescola all’aroma dolciastro del cibo cotto al momento e, purtroppo, a quello penetrante e tutt’altro che gradevole dei durian, in bella mostra sulle bancarelle di frutta. Nonostante le recriminazioni di Claudio mi avvicino a una bancarella e convinco l’anziano venditore a tagliare un durian e a darmene solo uno spicchio.
Anche se mi devo tappare il naso mentre lo mangio, il sapore è buonissimo. Gli altri venditori assistono all’esperimento piuttosto divertiti e insistono per farmi comperare un frutto intero. A questo punto Claudio se la dð a gambe e io lo seguo!

Visto che ci sono due barconi con gið un p? di gente a bordo, saltiamo sul primo sperando che diriga all’isola che vediamo di fronte. In effetti non siamo riusciti a capirci bene con i barcaioli...speriamo in bene!
Scricchiola tutto e quando finalmente parte ci sono a bordo il doppio delle persone rispetto a quelle che probabilmente potrebbe trasportare. Comunque arriviamo dall’altra parte e dopo parecchie manovre (questi barconi non hanno l’invertitore) approdiamo. L’isoletta è abitata esclusivamente da pescatori. Ci sono tutte le reti stese al sole; un p? sono a terra, un p? sui tetti.
L’odore del pesce secco è fortissimo.
Facciamo un giro tra le casupole e arriviamo in prossimità del cantiere navale. Qui vengono costruite le piroghe e le tipiche barche a bilanciere. L’antica arte dei mastri d’ascia viene ancora tramandata di padre in figlio e tutto è rigorosamente fatto a mano.
Torniamo indietro e adocchiamo un ristorantino che promette bene. Ha esposto il men? scritto in malese dal quale, naturalmente, non caviamo nessuna utile informazione circa quello che finirà nei nostri piatti. Però hanno una grande vasca piena di pesci di vario genere e, dopo averne indicato due dall’aspetto decisamente appetibile, ci sediamo, e ci guastiamo il tramonto sorseggiando una birra in attesa della cena.
Domani mattina alle 8.00 ci verranno a prendere e ci trasferiremo a Merang da dove partono le barche per l’isola di Redang.



Merang

è un villaggio di pescatori con un imbarcadero in legno.
Un canale si apre la strada tra le mangrovie e sfocia in mare nella fascia sabbiosa di bassi fondali.
Il trasferimento all’isola dura un’ora e mezza e quando attracchiamo a Redang i ragazzi del luogo ci vengono incontro, si impossessano di tutti i nostri bagagli e li caricano su di un trattore escavatore che parte spedito lungo la spiaggia, bianca e lunghissima. Noi arranchiamo dietro a piedi.
Finalmente arriviamo al resort; solite formalita’ e drink di benvenuto. Ci accompagnano al bungalow; bello, in legno, con grande veranda e vista mare.
Il diving è piccolino ma ben attrezzato. I ragazzi sono disoccupati e quando ci vedono arrivare si precipitano a prendere le attrezzature. Se dipendesse da loro saremmo gið in barca ! ...
Prendiamo accordi per il pomeriggio, per ora ci rilassiamo.

C’e’ parecchia risacca e alte onde si frangono sulla spiaggia. La barca è ormeggiata a circa 100 metri.
Entriamo in acqua, per raggiungerla, con tutta l’attrezzatura; e qui...comincia il cinema.
Le onde sono alte e possenti; superarle non è uno scherzo (soprattutto se non si è abituati) Dopo una serie di infamanti ruzzoloni che mi piaggiano come una foca ubriaca lo scoramento tocca l’apice.
Il Divemaster, mosso a compassione, mi prende l’attrezzatura e mi invita a raggiungere la barca a nuoto … sarð meglio ….. !
(nei giorni successivi, invece, tutto fila liscio come l’olio in quanto i ragazzi si rendono conto che 'mama' - è cosü che mi chiamano … sigh … - a terra è proprio imbranata e quindi porteranno loro le attrezzature in barca).
A compensare i miei insuccessi ci pensano i numerosi cinesi che arrivano e partono dai resorts confinanti. Sono incredibili; quando arrivano saltano gi? dalla barca vestiti di tutto punto e camminando nell’acqua, come se nulla fosse, coi bagagli sulla testa arrivano a terra ... zuppi come pulcini. Quando partono, la scena si ripete al contrario, con l’aggravante che sono tutti diretti all’aeroporto e lü arriveranno in condizioni, diciamo, per noi inaccettabili.
L’acqua è calda e molto limpida.

C’è una leggera corrente e l’immersione inizia trasportati lungo un wall a 10 metri di profonditð. Le due cose che pi? ci colpiscono sono il numero incredibile di crinoidi che, abbarbicati a qualsiasi appiglio, dondolano dolcemente nell’acqua e le decine di anemoni di dimensioni notevoli. La maggior parte sono chiusi e sfoggiano colori splendidi che spaziano dal verde smeraldo, al blu cobalto al giallo limone.

Essendo la prima immersione, Robin, il nostro Divemaster, non ci porterð a piu’ di 20 metri di profonditð (diciamocelo sinceramente … vista la tragedia vissuta per entrare in acqua, probabilmente non si fida … !). Giunti sul fondale sabbioso, scopriamo in un anfratto due belle razze con il manto picchiettato da pois azzurri.
Sembrano non interessarsi a noi e non si spostano di mezzo centimetro nemmeno quando ci avviciniamo e le illuminiamo.
Ma l’incontro piu’ bello di questa immersione avviene quando ormai stiamo risalendo. All’improvviso ci troviamo dinnanzi a uno sfarfallio rosso fuoco; sembra di assistere alla danza elegante e sensuale delle ballerine di flamenco. Ebbene sü, siamo davanti a due ballerine spagnole. Sono incantevoli, si spostano veloci in un turbinio di riflessi rossi e si rincorrono girando in tondo.

Quando torniamo in barca troviamo the, caffø e biscotti al cocco.
Niente male come prima immersione !
Anche Robin è contento … gli andiamo a genio!
Sorridendo ci conferma che sarð la nostra guida anche nei prossimi giorni.

Una volta sbarcati, dopo aver riposto l’attrezzatura ed esserci docciati, andiamo a giocare con gli scoiattoli che, apparentemente, abitano stabilmente sulle verande dei bungalows e sugli alberi sovrastanti.
Poi un aperitivo, il tramonto scarlatto, la cena e … a nanna … la vacanza sub inizia domani alle 8:30.



OMAN

E’ da 50 minuti che stiamo contrattando il prezzo di un fuoristrada – 8 giorni, chilometraggio illimitato e assicurazioni comprese. Noi siamo esausti, lui (il tizio della Budget) è pi? che mai pimpante e arroccato sulle sue posizioni. Finalmente toglie il mazzo di chiavi dalla tasca del dishdasha, ci fa firmare 4 fogli, ritira il malloppo e sorride!

'Welcome in Oman!'
Inizia l’avventura; destinazione finale il parco marino nazionale delle isole Damaniyat, situate 16 chilometri al largo tra Muscat e Braka.
Il nostro resort è ad Al Sawadi, circa 100 chilometri a nord di Muscat.
La strada corre parallela al mare; è una superstrada interrotta ogni tanto da enormi rotonde al centro delle quali si ergono monumenti in bronzo o in marmo. Sia nello spartitraffico centrale sia ai lati vi sono splendide aiuole fiorite che contrastano con il terreno arido che ci circonda. I colori dominanti sono l’ocra del terreno, il bianco delle case e l’azzurro del cielo e del mare.
Dopo circa 1 ora imbocchiamo la strada secondaria che porta al resort.
E’ come un’oasi in mezzo al deserto: prati all’inglese, palme e aiuole fiorite. Tutto intorno roccia, sabbia e polvere. Gli ospiti, pochi per la veritð, provengono per lo pi? dall’Arabia Saudita, dallo Yemen e dagli Emirati Arabi. Ci sono per? tre europei; scopriamo che lavorano in Oman e che sono anche loro appassionati subacquei.

Prima di andare al diving vogliamo fare un tuffo in piscina.
Sedute sulle sdraio di fronte a noi ci sono due signore che conversano amabilmente. Indossano l’abaya, la lunga mantella nera che le copre da capo a piedi. Portano il velo, anch’esso nero, guanti e calze...nere.
Sfilo velocemente l’accappatoio e mi tuffo (indosso un due pezzi ascellare!) ma, appena riemergo, mi sento addosso lo sguardo penetrante delle due signore che osservano esterefatte quell’essere ignudo che sguazza nell’acqua. Annaspo nel mio disagio che va aumentando in modo esponenziale.
Come faccio ad uscire dall’acqua ?
Claudio mi viene in soccorso; afferra l’accappatoio e ci manca poco che lo 'pucci' completamente in acqua per farmelo indossare il pi? velocemente possibile. L’esperimento piscina finisce qui. Da domani solo bagni e 'spogliarelli' in alto mare, sulla barca del diving.

Le isole Dimaaniyat sono in tutto 9 e sono circondate da una barriera corallina ancora vergine; sembra il Mar Rosso di 20 anni fa. Le immersioni sono incantevoli. Vi sono molte specie di coralli molli e duri e la quantitð di pesce è indescrivibile. A volte pur sapendo di avere Claudio al mio fianco non riesco a vederlo; ci separa un vero e proprio muro vivente. I pesciotti non hanno paura e sono molto curiosi; se trattengo il respiro vengono a mordicchiare la maschera! I pi? impertinenti sono i pesci bandiera.

L’acqua è caldissima e le immersioni sono lunghe anche perchø la profondita’ massima del fondale è sui 25 metri. Spesso, addormentati sul fondo, vediamo degli squali nutrice. Hanno l’aria mite e, col passare dei giorni, scopriamo che i locali li pescano abitualmente (anche 8-10 al giorno) e poi li rivendono ai mercanti iraniani (l’Iran è infatti vicinissimo, proprio di fronte a noi dall’altra parte del golfo).
Incontriamo anche parecchie razze e alcune tartarughe.
Ahmed ci spiega che in questo periodo le tartarughe depongono le uova e quindi non ci sarð possibile scendere a terra sulle spiagge delle isole. Ogni mattina partiamo con la barca del diving e facciamo quella che chiamano 'two tanks dive', cioø due immersioni consecutive a distanza di circa 1 ora una dall’altra.

Poi rientriamo al resort e nel pomeriggio con il nostro sudatissimo fuoristrada esploriamo le oasi, i 'wadi' (i letti dei fiumi in secca che spesso vengono utilizzati come strade alternative) ed i borghi rurali all’interno del Paese, dove sembra che il tempo si sia fermato.

Le spiagge lungo la costa sono deserte e in alcuni punti sono ricoperte da uno strato di conchiglie bianche e rose. Occasionalmente capita di vedere gruppi di ragazzi che giocano a pallone o che fanno il bagno. Tutti indossano il 'dishdasha', il tipico abito-camicia bianco lungo sino ai piedi. Davanti alle case vi sono roccoli di uomini accoccolati i circolo; discutono, fumano e giocano a dadi. Ogni tanto incontriamo cammelli erranti e gruppi di bambini che ci salutano calorosamente sfoggiando le parole che conoscono in inglese.

Pranziamo in ristorantini omaniti (l’alternativa sono locali indiani o pakistani) e impariamo, una volta entrati, a dirigerci verso la 'family room' - in pratica una stanzetta isolata dal resto del locale, dove la mia presenza femminile non reca imbarazzo agli altri avventori , ovviamente maschi.

L’Oman è un paese affascinante. Le sue montagne aride e i vecchi forti portoghesi; il suq di Mutrah con la casa del te’ e la zona delle spezie, le stoffe, l’incenso ed i profumi; i dolcetti ricoperti di miele; la gente cordiale e ospitale.

Ci è rimasto nel cuore e un giorno, forse, torneremo …. Inshallah …..



INDONESIA

LOMBOK e GILI TRAWANGAN

Siamo all’aeroporto di Singapore e, tra un gate e l’altro, sono installate delle diaboliche macchinette elettriche che fanno il massaggio a piedi, caviglie e parte del polpaccio.
E’ imperativo provare...
Per la verita’ Claudio non vorrebbe... ma dal momento che io mi sono gia’ tolta le scarpe, rassegnato e con occhi tristi, si siede nella poltroncina accanto alla mia. Funziona cosü: infili i piedi nel marchingegno, schiacci un pulsante e...hai dapprima la sensazione che ti stiano masticando le estremitð... inevitabilmente ti chiedi se riuscirai mai pi? a camminare, poi ti abitui e per 15 minuti riesci persino a rilassarti!

Cosü inizia l’avventura: da Singapore< a Lombok, a Gili Trawangan.

Lombok è un’isola serena e pacifica, molto meno turistica di Bali e con ritmi pi? lenti. E’ molto bella. Come Bali è verdissima; risaie che si alternano a coltivazioni di banane, palme, peperoncini, manioca, ananas ecc...
La gente, come sempre accogliente e sorridente, è dedita prevalentemente alla pesca e all’agricoltura. I villaggi dei pescatori lungo la costa sono veramente numerosi ed alcuni molto grandi.
E’ un mondo quasi primitivo. Sulla spiaggia sono allineate migliaia di barche e, oltre la strada, ci sono le casupole costruite con paglia e sterco di bufalo.

Il Puri Mas Beach Resort è un luogo incantevole. I bungalows sono raffinatissimi e arredati con pezzi di antiquariato. Nel giardino tropicale sono disseminate statue che, costeggiando i sentieri, ti conducono sino al mare. E’ un piccolo Eden che infonde un indescrivibile senso di pace e di serenitð. Servizio ad altissimo livello e gentilezza straordinaria da parte di tutto il personale.
L’affitto di un motorino ci porta a scoprire dapprima la costa a nord. Costeggiamo il mare, con la strada che sale e che scende regalandoci scenari fantastici.
Poi svoltiamo a destra, verso l’interno e, senza averlo previsto (in realta’ ci siamo persi e, cartina alla mano, ci tocca chiedere delucidazioni) ci ritroviamo a Pusuk nella foresta delle scimmie.
Sono ovunque; lungo la strada, sugli alberi, sui paracarri. Non si scompongono minimamente anzi, quando ci fermiamo, si avvicinano speranzose in cerca di cibo. In effetti, poco pi? in lð, dei ragazzi si divertono a distribuire noccioline. Noi, invece, non abbiamo proprio niente da dare, ma, in compenso, tutti presi a far fotografie, abbandoniamo lo zainetto sul motorino e ce ne disinteressiamo un po’ troppo a lungo. E’ un attimo; fortunatamente ci siamo girati e l’abbiamo vista... c’è mancato un pelo... Se le riusciva l’impresa, sfumavano con la scimmia nella foresta i nostri occhiali da vista (sigh!) e altre cosucce altrettanto interessanti.

A sud di Lombok la zona di Kuta è quasi deserta. Sporadici resorts e spiagge lunghissime, dorate e disabitate. Poco al largo le onde si infrangono sulla barriera corallina. Resterð cosü ancora per poco. I locali ci hanno detto che una Societð di Abu Dhabi ha firmato un contratto con il Governo Indonesiano per avere l’escusiva a costruire per 8 anni. I lavori inizieranno nel 2009, contestualmente alla costruzione del nuovo aeroporto internazionale.

Venti minuti di motoscafo da Taluk Nara ed eccoci a Gili Trawangan.
E’ un luogo fuori dal tempo. Niente auto, niente moto, niente polizia, niente giornali. A parte il chiacchiericcio della gente ed il frangersi delle onde sulla spiaggia, gli unici rumori sono gli zoccoli dei cavallini che trainano i cidomo ed il tintinnio dei campanellini attaccati ai finimenti. I cavallini sono veramente piccoli, ma sono anche molto snelli e con le zampe slanciate.
Vivono a migliaia, allo stato brado, sull’isola di Sumbawa e vengono catturati e domati esclusivamente per trainare i cidomo.
Lungo la strada in terra battuta si allineano i piccoli resorts, i divings, i negozietti ed i ristorantini. Per tutti il fronte mare è di max 15 metri.

Poco distante dal nostro resort troviamo un localino (Wrap A Snapper) all’apparenza insignificante, ma il cui staff si rivela, dal punto di vista culinario, strepitoso. Chiediamo che per la sera ci preparino al barbecue un pescione di dimensioni esagerate che poi divideremo in due... Veniamo accontentati e, spendendo l’astronomica cifra di 7 euro, ceniamo alla grande con anche una montagna di patatine fritte di contorno. Adottiamo il locale per tutti i pranzi e le cene successive; il proprietario e’ entusiasta, ma noi di piu’ !

Per le immersioni ci appoggiamo al Trawangan Dive, un centro Padi 5 stelle che, a nostro giudizio, ne merita 10. Organizzazione perfetta, gentilissimi, accoglienti. Bakri, la nostra guida, è un po’ fuori di testa, ma è anche bravissimo.
Chiediamo per ben due volte di rifare l’immersione a Shark Point e ci accontenta. Vediamo di tutto: squali, barracuda, aquile di mare, aragoste. Alcune immersioni sono in corrente (forte) e per 40 minuti voliamo letteralmente sott’acqua vedendo passare dinnanzi agli occhi scenari stupendi. Oltre a Shark Point, tra le immersioni pi? belle, ci restano nel cuore Deep Turbo e Bounty Wreck.
Alla sera l’isoletta si anima. Alcuni localini espongono la scritta “Here Magic Mushrooms” (raccolgono i funghetti sulle montagne di Lombok e poi preparano dei coktails che – dicono loro – ti mandano sulla luna...). In effetti, dopo una certa ora, vedi tutti molto serafici e con un’espressione decisamente felice...

Ma una settimana vola. E’ ora di tornare a Lombok per qualche giorno, per desaturare e per vedere le cascate ed il vulcano. Poi, sempre che ci accettino al check-in con il bagaglio che ci ritroviamo (gia’, perche’ sono riusciti a venderci di tutto... se hai il cuore tenero e’ cosü che va inevitabilmente a finire ...).
Singapore e...a casa.

Ne riparleremo al prossimo viaggio, tutto ancora da studiare e da programmare, all’ormai tradizionale motto di “E VIA PER NUOVE AVVENTURE !!!



Manado, Bunaken, Tana Toraja

Eccoci a Manado. L’aereo da Singapore e’ arrivato puntualissimo. Usciamo dall’aeroporto e vediamo il nostro contatto; e’ un ragazzo giovane e sventola un cartello con i nostri nomi. Si presenta come il Manager dell’Hotel e ci accompagna al parcheggio dove ci aspetta una specie di Prinz. Il Manager viene colto da un attacco di panico: siamo in 3 con due valige che valgono, per dimensioni, quanto altre due persone. Ovviamente non c’è il portapacchi. Cerchiamo di rassicurarlo e troviamo li modo di incastrarci nell’auto con i bagagli che ci sovrastano. Poi il ragazzo, un po’ titubante, ci informa che in albergo vi sono altri ospiti. Dice che fanno parte di una squadra di calcio proveniente da Irian Jaya e che si trovano a Manado in ritiro. Prosegue dicendo che, a parte loro, noi siamo gli unici ospiti dell’albergo. A dirla tutta, il Presidente della squadra di calcio voleva tutto l’hotel per i giocatori, i tecnici, i medici ed il resto dello staff ma, visto che noi avevamo prenotato due mesi prima, alla fine, seppur a malincuore, si era dovuto rassegnare. Tra l’altro sembra che l’unica stanza con aria condizionata del Kolongan Beach Hotel sia stata riservata a noi anziché a lui ……’He is really very disappointed’……conclude il Manager.
Leggo sul volto di Claudio la solita muta e disperata domanda dei momenti difficili; 'ma perche’ cavolo non hai prenotato tramite un tour operator italiano come fanno tutte le persone normali ?'

Quando arriviamo all’albergo e’ quasi buio; della squadra di calcio nessuna traccia (e neanche del 'disappointed' Presidente). Siamo un po’ cotti e quindi facciamo una doccia e andiamo a dormire.
Il mattino dopo … sorpresa … Ore 5.30; dei fischi laceranti squarciano l’aria interrompendo il nostro beato sonno. Guardo fuori dalla finestra. Il giardinetto centrale, intorno al quale si aprono le porte delle camere, e’ affollato di ragazzoni di carnagione scura, in pantaloncini e canotta. Fanno ginnastica al ritmo di un fischietto che, appeso al collo dell’allenatore, si trasforma, per quanto ci riguarda, in un’arma letale. Il rito si ripetera’ tutti i giorni successivi. E pensare che doveva essere una settimana rilassante ! Però la convivenza con gli atleti si rivela piacevole e divertente. Per due giorni ci guardiamo e ci studiamo, reciprocamente incuriositi; poi il loro Presidente, con un gesto di magnanimita’ e perdono (beh, in fondo gli avevamo fregato la stanza !) dopo cena ci invita al loro tavolo e a questo punto il ghiaccio e’ rotto.
Passiamo il resto della serata a disegnare su tovaglioli di carta approssimate cartine del mondo, dell’Europa e dell’Italia per fargli capire da dove veniamo. Grandi sorrisi e cenni di assenso; loro disegnano tutta l’Indonesia e ci raccontano della loro isola e delle loro famiglie. Ci fanno anche assaggiare degli strani dolcetti fatti in casa. La conversazione e’ un po’ difficile; parlano un inglese minimale, ma c’è un linguaggio inequivocabile, quello del cuore, che ti consente di entrare in sintonia e di capirti con chiunque, basta volerlo.

Il Mapia Resort, dove si trova il Celebes Diving e’ abbastanza vicino ed e’ gestito da italiani. Sono fantastici !
Il parco marino di Bunaken e’ straordinario per la ricchezza e la biodiversita’ dei reefs.
Fa parte del cosiddetto 'Triangolo d’oro', la zona dell’Indo-pacifico considerata l’epicentro mondiale della biodiversità, i cui vertici sono costituiti, a grandi linee, da Papua, Filippine e Malesia.
La microfauna di questo posto ha dell’incredibile: pesci simili a merletti, granchi, rarissimi nudibranchi e il famoso ghost pipe fish. E’ un ecosistema possibile grazie alla temperatura dell’acqua che ha una media costante di 29-30 gradi, all’abbondanza di plancton e al fatto che i mari intorno a questa zona raggiungono profondità elevatissime anche a pochi chilometri dalla costa, rendendo possibile un continuo ricambio di acqua, pulita e ricca di nutrimento.
Anche la baia di Manado, dominata dall’isola vulcanica di Manado Tua e dal vulcano Klabat, e’ veramente suggestiva.


Alla quarta immersione ci imbattiamo nel mitico cavalluccio marino pigmeo. Il nostro divemaster indonesiano e’ bravissimo: ci indica ripetutamente il punto in cui si trova. Io non vedo niente !
Di nuovo si sbraccia e indica … boh, sa il Cielo che cosa !
Per non fare la figura della tonta baro spudoratamente e annuisco gioiosa, probabilmente con un’espressione un tantino troppo idiota.
Lui capisce che non ho ancora visto un tubo e allora mette la sua mano dietro al microcavalluccio … finalmente lo vedo ! (ma dai !!! era piccolo come l’unghia del mignolo !!).


Ma non siamo venuti fin qui solo per andare sott’acqua. L’isola di Sulawesi e’ molto estesa; il territorio e’ di circa 227.000 km e si estende tra il Kalimatan e le Molucche. Dopo una settimana a Manado, tra i bofonchi di Claudio, che ormai aveva trovato il suo habitat, e gli abbracci dei calciatori, prendiamo un aereo per Ujung Pandang (sud di Sulawesi) e ci trasferiamo nella regione di Tana Toraja.

Qui vivono i Toraja, una minoranza etnica le cui tradizioni, abitazioni e cerimonie sono uniche al mondo.
Si narra che questo popolo giunse dal nord, dal mare, e si stabilì inizialmente nella parte costiera. Poi l’arrivo di altri popoli li costrinse a rifugiarsi nelle montagne. Forse proprio per questo motivo le loro straordinarie abitazioni, chiamate tongkonan, costruite su palafitte, sono caratterizzate da un tetto imponente che ricorda un’imbarcazione. Le estremità rialzate rappresentano la prua e la poppa. Secondo la leggenda, i Toraja portarono le loro imbarcazioni sulle colline e le capovolsero per usarle come riparo.

La regione di Tana Toraja e’ molto vasta e di una bellezza selvaggia, tuttora incontaminata. I mercati delle cittadine sono una baraonda di colori e di suoni. Numerosissimi i maiali – tutti legati a terra con fasce di bambù affinche’ i compratori possano esaminarli a loro piacere - e i bufali, simbolo di prestigio sociale. Sono gli stessi animali che verranno sacrificati durante le cerimonie funebri.
I Toraja sono venuti in contatto con il mondo occidentale solo all’inizio del XX secolo; per la maggior parte sono tuttora animisti e praticano il culto degli antenati e degli spiriti. Credono che, in assenza di adeguati riti funebri, lo spirito del defunto procurera’ disgrazie alla sua famiglia. Celebrano in genere due funerali; uno subito dopo la morte e l’altro dopo che è trascorso un periodo di tempo sufficiente per portare a termine tutti i preparativi (a volte passano anni). Il corpo del defunto – imbalsamato – rimane nella casa in cui e’ avvenuto il decesso fino al funerale finale. Per tutto il periodo viene regolarmente cucinato del cibo da offrire al defunto e, se di stirpe nobile, un accompagnatore/guardiano gli resta accanto sino al giorno della sepoltura.

Rendere visita a un defunto è un onore e, infatti, la nostra guida ha pensato di renderci omaggio portandoci a casa sua dove, avvolta in un tappeto, si trovava – da circa due anni - la salma si suo nonno.
…… ma questa cosa l’abbiamo capita quando ormai era troppo tardi per avere una qualsiasi reazione...

Mercato Indonesia Comunque, prima di andarsene, bisogna ricordarsi di ringraziare il defunto e bisogna chiedergli il permesso di congedarsi.
Nel nostro caso, ci è stato chiesto di scattare anche una foto per testimoniare che il nonno era ancora parte integrante della famiglia.
I Toraja credono che le anime dei defunti giungano in Paradiso a cavallo dei bufali e dei maiali che sono stati immolati durante la cerimonia funebre.
Piu’ importante è il defunto e maggiore è il numero di bufali che si devono sacrificare. Le cerimonie funebri durano diversi giorni e coinvolgono centinaia di ospiti e... di turisti.


Tau Tau Tutti devono portare dei doni. Nel corso del nostro tour, siamo stati invitati ad una cerimonia e, per non offendere nessuno, abbiamo accettato portando in dono una stecca di sigarette (sorvolo sulla precedente, animata discussione sul “che cosa gli portiamo?”, ... era stata surreale).
Danze tradizionali, canti e sacrifici si sono susseguiti ma, quando è iniziata la preparazione dei maiali, fiammeggiati su di un falò, sventrati e tagliati a pezzi per essere cucinati (il tutto a 2 metri di distanza da noi), io ho ringraziato calorosamente per l’onore concessomi e mi sono dileguata.
I Toraja pensano anche che si possano portare nell’Al di Là i propri averi e quindi i defunti vengono sepolti con molti oggetti di valore in nicchie e caverne scavate nella roccia.
All’ingresso, sulle balconate, vengono posizionati i 'tau tau', statue in legno a grandezza naturale che rappresentano i defunti.

Abbiamo trascorso quattro giorni in giro per questa regione poi, un po’ frastornati, siamo rientrati nel cosiddetto “mondo civile” ... gli shopping centers di Singapore.



BALI

Siamo a Sanur, nella parte meridionale di Bali, a poca distanza dalle isole di Nusa Penida e Nusa Lembongan, nostre mete di immersione.
Ad essere sinceri ci sembra di essere 'in immersione' anche quando camminiamo per la strada: il tasso di umidità è altissimo e le magliette sono perennemente inzuppate; alla sera le sciacquiamo e le stendiamo diligentemente...per ritrovarle esattamente identiche al mattino dopo...sembra siano appena uscite da una lavatrice-sola (nel senso di: sola = fregatura) nella quale è stata del tutto omessa la funziona 'centrifuga'.

Le immersioni, quelle vere, sono piuttosto impegnative.
Spesso troviamo forte corrente e il mare è quasi sempre mosso. Ma sotto lo spettacolo e’ fantastico. Vediamo, oltre alla consueta moltitudine di pesci di barriera, anche squali e mante e sperimentiamo per la prima volta le correnti ascensionali la cui gestione, all’inizio, si rivela un po’ difficoltosa. Tutte le mattine, prima di arrivare sul punto di immersione, Hari ferma la barca in mare aperto e chiede per tutti noi la benedizione degli Dei. Adagia sull’acqua un cestinetto nel quale depone un fiore di loto, un bastoncino acceso di incenso, un mucchietto di riso e un biscotto. Poi recita una preghiera. E’ un rito toccante che, dopo lo stupore iniziale, ti porta inevitabilmente a riflettere.

Tulamben si trova invece nella parte orientale di Bali. C’e’ un solo albergo, il Mimpi Resort, isolato dal resto del mondo. Qui l’attrazione principale e’ il relitto del Liberty, un mercantile armato statunitense silurato nel ’42 da un sottomarino giapponese.
La spiaggia e’stretta, leggermente inclinata e costituita da grossi ciottoli grigio scuro. Niente sabbia e acqua cristallina. Dal diving dell’albergo ci si dirige a piedi, camminando sulla spiaggia, circa 150 metri a nord e da lì si inizia l’immersione. Quando arriviamo in spiaggia, ci vengono incontro alcune ragazze e si offrono di trasportare tutta la nostra attrezzatura sino al punto di immersione. Ci chiedono 1 dollaro a persona e, francamente, siamo un pò titubanti; non ci sembra corretto caricarle come muli da soma. Tuttavia il responsabile del diving ci fa presente che è un lavoro come un altro e che qui le donne sono abituate a trasportare carichi ben più pesanti e per più volte al giorno. Detto fatto le due ragazze arrotolano una salvietta sulla testa poi, aiutandosi a vicenda, issano sul capo le bombole, fissano la cintura dei piombi in vita, mettono a tracolla i jackets e tengono in mano gli erogatori. Camminano spedite sulla spiaggia con i ciottoli che ruzzolano sotto i piedi. Roba da non credere! Noi, nel frattempo, caracolliamo al loro seguito. Indossiamo i calzari ma facciamo quasi fatica a stare in piedi. E il bello è che abbiamo in mano solo le pinne! Dire che ci sentiamo due vermi è poco... Claudio fa lo 'spiritosone' e mi informa che al ritorno in Italia le donne di Mare Blu (allieve e staff) dovranno imparare e si dovranno attrezzare (non è chiaro se pensi di pagare anche il famoso dollaro)...comunque lo sfido a proporre la cosa e lo avviso che ben difficilmente riceverà una standing ovation!

Il relitto del Liberty e’disteso quasi parallelamente alla costa; la prua e’ quasi affiorante mentre la poppa si trova a 30 metri di profondità. E’ completamente incrostato di corallo e popolato da una miriade di pesci di diverse qualità. E’ lungo in tutto 100 metri ma è spezzato in più punti ed è quindi facile entrarvi. Molto bella è anche la parete dalla parte opposta della baia che precipita per circa 40 metri su un fondale sabbioso.

Poco a sud di Tulamben vi è un’altra località poco nota: Amed.
Ci assicurano che l’immersione merita. Pochi anni fa la zona era stata completamente devastata dalla pesca effettuata con gli esplosivi poi, dopo l’intervento del Governo e gli indennizzi pagati ai pescatori in cambio del divieto di utilizzare la dinamite, i fondali sono rinati e ora è uno dei più bei punti di immersione a Bali. Saliamo in machina e, anche qui, i ragazzi del diving si fermano strada facendo davanti ad un altarino per fare la loro offerta agli Dei. Raggiungiamo il punto di immersione su di una minuscola barca a bilancere la cui larghezza è purtroppo nettamente inferiore a quella del mio posteriore. Però, siccome 'mal comune è mezzo gaudio’ mi consolo visualizzando mentalmente il momento in cui Claudio dovrà a sua volta disincastrarsi. ’SE’ riuscirà ad alzarsi ho la matematica certezza che fara’ ’ploppp’ come un tappo di sughero tolto energicamente dalla bottiglia.
Sotto di noi la parete è spettacolare e cade sino a 35 metri. Tutta l’immersione avviene in corrente ed è entusiasmante.

Ma due settimane volano. Il nostro amico taxista, assoldato in virtù della sua intraprendenza e simpatia, tutti i pomeriggi macina chilometri sulle strade asfaltate ma piene di buche e ci porta a scoprire paesaggi mozzafiato, tra montagne e vallate terrazzate a risaie.

Cosa dire di Bali?
Un mare straordinario, un verde che ti riempie gli occhi, un popolo semplice e gentile, un senso di libertà e di serenità che ti rimane dentro...per sempre.



SEYCHELLES

Idillici paesaggi da cartolina ma … prezzi da nababbi.
Ecco il motivo per cui questo viaggio non era mai stato preso in considerazione. Tuttavia, al termine di un’immersione, chiacchierando con due ragazzi vagabondi come noi, scopriamo che, in realtà, se si evitano i mega hotel all-inclusive, la cosa è fattibilissima.
Due mesi per organizzare il tutto e SI PARTE !

La nostra meta è MAHE’. E’ l’isola più popolosa dell’arcipelago delle Seychelles, lunga circa 27 km e larga tra i 3 e gli 8 km.
Il villaggio di Beau Vallon è famoso per la lunghissima e bellissima spiaggia di sabbia bianca. Un tempo questa spiaggia era la più rinomata e quindi la più affollata delle Seychelles, ma oggi la maggior parte dei turisti in cerca di mare e di sole preferiscono le isole di Praslin e di La Digue (dove però le immersioni sono solo mediocri).
Dall’aeroporto prendiamo un taxi e ci facciamo portare al mitico Le Pti Payot situato a Marie Anglaise, nell’estremità settentrionale della spiaggia di Beau Vallon.
Il resort (parola grossa!) consiste in 5 deliziose villette indipendenti, circondate da un giardino tropicale, costellato da formazioni rocciose. La nostra villetta ha una veranda da cui si domina la baia e, cosa importantissima, ha una cucina che e’ piu’ grande di quella di casa mia. Questo fatto fa gongolare Claudio; già si vede all’opera ai fornelli alle prese con il “pescato quotidiano”.

Il pomeriggio del primo giorno vola. Scopriamo che, qui a Marie Anglaise, per fare la spesa possiamo contare su delle micro-botteghe gestite da indiani e aperte praticamente 24 ore. Hanno di tutto. Basta aprire i grossi congelatori a pozzetto ed esce carne di manzo, maiale, pollo, ...
Ci spiegano che fa troppo caldo e che quindi non si vende carne fresca il cui consumo è, tra l’altro, limitato ai pochi che se lo possono permettere. La base dell’alimentazione dei locali è in effetti costituita dal pesce.
Lungo la strada, su bancarelle di legno improvvisate, i pescatori si alternano, man mano che rientrano con il pescato. Basta indicare che cosa vuoi e in battibaleno pesano, puliscono, lavano e consegnano il pescione (sì, perchè la stazza media è veramente grossa!).

La famosa spiaggia di Beau Vallon e’ veramente stupenda e, incredibile, benché sia alta stagione, ci sono pochissimi turisti (probabilmente bazzicano le spiaggie private degli hotels). Il padrone di casa è letteralmente fuori di testa. Ci ha accolti a braccia aperte, come se ci conoscesse da 10 anni (in effetti ci siamo solo scambiati 4 fax e neanche ha voluto un acconto...).
La sera del nostro arrivo ci invita a cena a casa sua. Lui vive li’, nella sesta villetta, la piu’ grande, quella che domina dall’alto della collina tutte le altre. Ci tocca mangiare un tonno enorme che, haime’, non sa di pesce (e ancor meno sa di tonno!).
Già, perche’ il nostro chef lo cucina alla griglia, alla creola. Lo riempie cioè di spezie di mille sapori e di mille odori e, alla fine, lo cosparge con una salsa (dice che si chiama rougaille) a base di pomodoro e poi ancora spezie. Il contorno e' costituito da riso bollito e spicchi di mango. MMMHHHMMM … buono, nulla da dire, ma … vuoi mettere un bel pesce alla griglia senza salse strane ? Claudio gli comunica che la sera successiva saremo noi a invitare a cena lui; cucina italiana, spaghetti e vero pesce ... sottolinea la parola VERO come se quel poveretto ci avesse propinato della plastica !

Comunque ringraziamo per l’ospitalità e chiediamo informazioni per noleggiare una macchina. E’ davvero gentile, si offre di farci trovare la nostra macchinetta all’ingresso del resort per l’ora di pranzo del giorno dopo, quando rientreremo dall’immersione. Ci sconsiglia comunque la Mini Moke, l’automobile simbolo delle Seychelles. Dice che tutte quelle macchine hanno qualche difetto meccanico, sono depotenziate e vanno bene giusto per i turisti ! (deve essersi ormai convinto che ci confondiamo benissimo con i locali...)

Il Diving (Big Blue Divers) si raggiunge a piedi in cinque minuti. E’ gestito da una signora tedesca molto ... tedesca, appunto! Come sempre la prima immersione è da Open Water, ma nei giorni successivi scopriamo un vero paradiso. Qui non c’è una vera barriera corallina. I coralli crescono sparsi tra le formazioni di roccia granitica. Alcune immersioni sono vicine al litorale, altre sono più distanti e si svolgono su massi di granito, al largo.
Tra le tante, una in particolare ci è rimasta impressa: Shark Bank. Il fondale è di circa 30 metri. In genere c’è corrente. Un enorme pilastro di granito si erge dal fondo e poi si allarga. Sulla sommita’ vi sono altri grossi massi che creano un ambiente tutto grotte e anfratti. Intorno solo il blu dell’oceano e... che cosa si può desiderare di più ? Razze, mante, squali, tonni, cernie. Le pareti sono ricoperte da spugne di tutti i colori e da gorgonie bianche.

Tra un’immersione e l’altra visitiamo anche l’isola. Le montagne nell’entroterra sono veramente belle e la strada statale che corre per buona parte lungo la costa offre scorci spettacolari.

Di queste splendide isole in Italia conosciamo i paesaggi da sogno, le bellezze tropicali, le spiagge magiche, le lagune e gli hotels faraonici reclamizzati sui depliants turistici; ma la realta’, per chi vive là, è ben diversa. Non ci aspettavamo tanta povertà. Nei supermercati della capitale, Victoria, gli scaffali piangono. Sembra strano, ma ti fai un’idea di come vive la gente proprio visitando i supermercati. Il tenore di vita della maggior parte della popolazione creola è decisamente basso ed il costo della vita è spropositato. L’economia del Paese si basa sul turismo e sull’industria ittica. La gente ci parla di un Governo corrotto, della mancanza di infrastrutture, di un sistema e di un’assistenza sanitaria del tutto inadeguati.

Nel nostro immaginario le Seychelles rimangono un Paradiso e sono, indubbiamente, tra le piu’ belle isole del pianeta, ma non scordiamoci che, purtroppo, c’e’ dell’altro.



MESSICO

dal Chiapas allo Yucatan

Misteriosi villaggi indigeni che conservano costumi, credenze e tradizioni introvabili in altri paesi. Antiche città Maya immerse nella giungla. Immersioni nei cenotes, tanto mare e tanto sole. MEXICO !!!!!
Il tour inizia in Chiapas. In alcuni villaggi la macchina fotografica è letteralmente bandita; una delle credenze degli Indios è che apparendo in fotografia si perde l’anima. Il villaggio di San Juan Chamula – non molto distante da San Cristobal de las Casas - è famoso per le pratiche religiose, uniche nel loro genere.
chiesetta in Messico Le strade e le piazze del villaggio sono in terra battuta. Al centro del paese si trova la chiesa principale. Entrare è un’esperienza impagabile. Sul pavimento, cosparso di aghi di pino, sono accese in ordine sparso, centinaia di candele. L’odore dell’incenso e’ penetrante. All’interno si celebrano riti sia pagani sia religiosi.
Piu’ decentrato, accanto alle rovine di una vecchia chiesa distrutta da un incendio, si trova il cimitero. Le croci sono di tre colori: nere per chi è morto in età avanzata, bianche per i più giovani e blu per tutti gli altri. Nella piazza principale troneggia un monumento mostruoso che raffigura una lattina di Coca Cola. In pratica e’ una lattina alta circa 10 metri e larga 4, tutta rossa con la tipica scritta bianca svolazzante.
Dinnanzi alla nostra espressione esterefatta Miguel – la nostra guida – spiega che la Coca Cola riveste un ruolo primario nelle tradizionali cerimonie di questo popolo, in quanto viene utilizzata dai “curadores” (o meglio sarebbe chiamarli “stregoni”) per curare gli ammalati. La persona ammalata viene portata in chiesa e lì le viene fatto bere un sorso della famosissima bibita. In base alla potenza del rutto, successivamente generato dal malcapitato, viene diagnosticata la gravità della malattia. Grazie al rutto vengono altresì espulsi dal corpo gli spiriti maligni …. Non osiamo commentare .. ma abbiamo scritto in fronte un bel "ma questi qua sono fuori di melone !"
Una volta diagnosticata la malattia, iniziano i rituali relativi alla cura. L’ammalato viene fatto sdraiare per terra con intorno tutte le candele accese e sul suo corpo vengono rotte e poi spalmate uova di gallina. Galline vive vengono agitate sopra al corpo del paziente. A volte gli sfortunati pennuti (sempre che non siano già morti di paura e crepacuore per i fatti loro ….) vengono uccisi e poi strofinati sul corpo dell’ammalato affinché ne assorbano la malattia. Non sono riuscita a capire se poi i gallinacei, alla fine di tutti i cerimoniali, finiscono arrosto oppure no... Miguel non mi ha risposto
La cosa straordinaria è che questi Indios – che discendono dagli antichi Maya – si dichiarano cattolici, ma è evidente che, nel corso dei secoli, il cattolicesimo è stato infarcito con ancestrali riti magici e credenze pagane che hanno di fatto generato un nuovo culto. All’interno della chiesa vi sono anche molte statue di Santi ma, dopo un controllo piu’ attento, scopriamo che, curiosamente, a tutte le statue sono state amputate le braccia. Miguel, serissimo, spiega che si tratta di una punizione. Prima le statue si trovavano nell’altra chiesa (quella bruciata vicino al cimitero). Poiché in occasione dell’incendio le suddette statue hanno manifestatamente dimostrato la loro disattenzione e inettitudine ( eh già … non hanno dato l’allarme ….) lasciando bruciare la chiesa … ebbene …. sono state punite ! Superfluo dissertare sulla condizione della donna da queste parti …. basti dire che l’uomo ha la facolta’ di ripudiare la moglie allorche’ il sesso del nascituro è diverso da quello che lui si aspetta. Ma il fatto eclatante è che il marito puo’ tranquillamente dichiarare se desiderava un maschio o una femmina dopo aver visto il nascituro !
Tra l’altro la poligamia è abituale e le donne portano in dote, oltre a capi di bestiame e pelli conciate, un congruo numero di …. lattine di Coca Cola !

Antiche rovine Maya a Palenque L’esplorazione degli altipiani del Chiapas si conclude con l’antica citta’ di Palenque, una delle meraviglie del Messico, posizionata in mezzo alla giungla.
La visita del sito richiede buone gambe (possibilmente lunghe .. coscia molto lunga ….. ) e tanto fiato.
il 'peone' genovese
I gradini delle piramidi sono alti e stretti e se vuoi arrivare in cima di fatica ne devi fare parecchia. Il risultato è che mentre io (coscia purtroppo molto corta) arranco scompostamente verso le vette delle piramidi, Claudio, seduto all’ombra, ovviamente alle base delle stesse, contratta il prezzo di un completo casacca/pantalone bianco. E’ il classico abito dei peones messicani. Il cappello da gringo già se l’era comperato a San Juan Chamula.
Prevedo tempi bui al nostro rientro in Italia ….


Le immersioni di fronte a Playa del Carmen sono piacevoli, anche se non eccezionali. Molto belle invece le immersioni a Cozumel, dove troviamo splendide formazioni coralline, tantissimo pesce e una visibilità favolosa. I cenotes del Messico
Ma l’emozione più grande dal punto di vista subacqueo sono i cenotes. In Messico si trova il più grande sistema di grotte sommerse del mondo. Partiamo da Playa del Carmen a bordo di una jeep, attraversiamo un tratto di giungla e arriviamo al cenote Dos Ojos, dal quale si accede alle grotte di Nohoh Nah Chich. La caverne calcaree sono ricche di stalagtiti e stalagmiti; la luce in alcuni tratti filtra, in altri no e il buio è quasi totale. C’è comunque un cavo guida e l’acqua è limpidissima tanto da dare la sensazione che non ci sia affatto. Naturalmente non ci sono pesci.

Immersione nei 'cenotes' Sono immersioni strane, in ambienti dove, tradizionalmente, solo gli speleosub sono di casa. Ma qui in Messico è possibile provare questa emozione grazie alla vasta scelta di grotte e caverne che presentano diversi gradi di difficoltà, in base alla preparazione dei subacquei.

Tutti i viaggi insegnano qualche cosa; adesso, nell’armadietto dei medicinali a bordo del Crater Lake, c’è anche una lattina di Coca Cola ... per le galline, invece ... dobbiamo ancora attrezzarci !



THAILANDIA

Khao Lak e Similan Islands

Khao Lak: non è possibile dimenticare le terrificanti immagini riprese dal satellite e trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo nel dicembre 2004 dopo la furia dello Tsunami. Increduli e inorriditi avevamo pianto dinnanzi alle immagini di quella tragedia che si stava consumando a migliaia di chilometri da noi. Il pensiero era corso a quel sarto che in un’ora aveva sostituito la cerniera del mio zainetto e a quella ragazza che camminava in modo strano perché non era abituata ad indossare le scarpe chiuse col tacco.
Due anni prima, nel novembre 2002, eravamo là.

Dopo un tour nel nord della Thailandia, ai confini con la Birmania, avevamo scelto di terminare la vacanza a Khao Lak perché era una localita’ molto meno conosciuta, e quindi meno turistica di Phuket.
Il paese si sviluppava lungo la costa ed era attraversato dalla strada provinciale che da Phuket dirigeva a nord, verso il confine con il Myanmar.
Lungo la strada era un susseguirsi di negozietti: sarti, alimentari, casalinghi. I resorts, di dimensioni contenute, si affacciavano tutti sul mare. Il nostro bungalow , al Khaolak Tropicana Beach Resort, aveva la parete rivolta verso il mare tutta in vetro e al mattino quando ci svegliavamo la prima cosa che vedevamo era l’azzurro dell’oceano.
Mercato Indonesia
Sotto le palme, che ornavano la lunghissima spiaggia, innumerevoli ristorantini, costruiti su palafitte, offrivano menù a base di pesce. Tutto intorno piantagioni di alberi della gomma e di palme, da cui ricavavano l’olio. Avevamo noleggiato un motorino per poter raggiungere comodamente il Diving e per poter fare dei giri nei dintorni.
Le spiagge più a nord erano deserte. Moltissime le barche dei pescatori che, verso sera, vedevamo seduti in circolo ad aggiustare le reti colorate. Tanti i bambini; davanti alle case, nei cortili in terra battuta, giocavano a palla e facevano a gara con dei rudimentali monopattini. Quando passavamo ci salutavano ridendo e gridando “hello!”.


Da Khao Lak, tornando a sud verso Phuket, avevamo imboccato la strada che porta alla baia di Phan-Nga. Eravamo partiti di buon mattino. Il paesaggio era magico. La strada tagliava le montagne verdissime. Nuvole di nebbia si sollevavano dal terreno e avvolgevano i campi, mentre i primi raggi del sole bucavano le nuvole.
Giunti in prossimità di Phang-Nga alcuni ragazzi ci avevano fermato, offrendosi come guide per visitare il parco nazionale, sia terrestre sia marino. Mercato Indonesia
La baia di Ao Phang-Nga era incantevole. All’orizzonte vedevamo spuntare dal mare dei cocuzzoli di roccia ricoperti di vegetazione.
L’acqua era verde scuro e un po’ limacciosa. Da un punto di vista strettamente balneare la zona non si poteva considerare molto invitante.
Con la barchetta di un pescatore, e la nostra giovane guida, avevamo girato nei canali tra le più di 40 isole, costituite da enormi rocce verticali di natura calcarea tra le quali, la più famosa, è l’isola di Ko Phing Kan (l’isola di James Bond) dove venne girata una parte del film "L’uomo dalla pistola d’oro".

Le barche per le escursioni giornaliere alle isole Similan partivano da Thap Lamu, ubicata tra Khao Lak e Phuket, ma eravamo riusciti ad organizzare le immersioni tramite il nostro diving di Khao Lak.
Le isole Similan si formarono 100-150 mila anni fa e la loro composizione attuale e' dovuta allo smottamento delle rocce granitiche, scolpite dalla forza del vento e delle onde. La parola "Similan" deriva dal nome malesiano "sembilan" che significa "Nove". Nove sono appunto le isole granitiche ricoperte dalla giungla tropicale che compongono l’arcipelago e che si sviluppano per circa 25 chilometri nel Mare delle Andamane. Rappresentano da sempre una meta obbligata per i subacquei. La bellezza delle immersioni e’ indiscutibile; muri di corallo, enormi gorgonie e spugne barile, grotte, formazioni rocciose.
A circa 50 miglia dalle isole Similan, vi sono le isole Surin. Sono 5 isole vicine, coperte da folta vegetazione e abitate unicamente da una piccola comunità di pescatori. I fondali sono meravigliosi: tantissimo colore, pesce in abbondanza e acqua limpida.
Mercato Indonesia Anche le Surin sono parco nazionale e qui si trova il famosissimo punto di immersione, scoperto da Jacque Cousteau:
“Richelieu Rock”
Si tratta di una montagna sommersa a circa 14 km sud-est di Surin Tai. Dicono che questa immersione figuri tra le top-ten a livello mondiale e, a nostro giudizio, questa fama e’ ben meritata. Qui avevamo fatto l’immersione più bella.
Una scarpata a forma di ferro di cavallo con intorno tante altre rocce di dimensioni inferiori era ricoperta da alcionari le cui sfumature andavano dal viola al rosso porpora. Le gorgonie erano ovunque e raggiungevano dimensioni decisamente fuori dal normale.

Meravigliosi alcuni anemoni con i tentacoli rossi che ospitavano alcuni pesci pagliaccio. Tutto intorno era affollato di pesci di tutte le qualita’ e, in risalita, avevamo avvistato anche dei bei barracuda e alcuni carangidi.

* * * * * * Dopo lo Tsunami * * * * * *
Sono passati 4 anni da quei giorni e spesso il pensiero è tornato a quei luoghi e a quelle persone.
Ricordiamo la loro dolcezza, i loro sorrisi, la loro spontaneità e la loro forza interiore.
Abbiamo visto, navigando in internet, che fortunatamente molto e’ stato fatto dal dicembre 2004.
Khao Lak è tornata ad essere una meta turistica, molti resorts, tra cui il nostro, sono stati ricostruiti, la vita è ripresa.
Oggi speriamo che in molti visitino quei posti, perché al di là delle bellezze naturali terrestri e marine, anche questo è un modo per aiutare quella gente meravigliosa, per ricominciare e, soprattutto, per non dimenticare.